Il piccolo risparmiatore può anche decidere di investire su singoli titoli azionari e obbligazioni, ma per una gestione professionale e un accesso contemporaneo a più comparti può scegliere la via dei fondi comuni d’investimento, strumenti che consentono una notevole diversificazione del portafoglio senza aumentare la complessità, anzi semplificando di molto la gestione, riducendo quindi il rischio di perdite ingenti dovuti a default, cambi sfavorevoli, crolli in borsa.
Ma quali sono i costi dei fondi d’investimento? Posto che il risparmio gestito è una soluzione consigliata in un mercato globalizzato, molto complesso con tante variabili, e che ormai da 30 anni i fondi comuni non fanno segnare perdite totali del patrimonio investito (se pensate ai casi dei bond Parmalat e argentini, alle obbligazioni di Banca Etruria, Banca Marche, CariFe e CariChieti, capite bene quali rischi siano sempre in agguato), si deve comunque aver chiaro che ci sono spese di gestione, commissioni e tasse: se per quel che riguarda l’imposizione fiscale c’è la tassazione sulle rendite finanziarie – ovvero l’imposta del 26% sugli interessi incassati e sul capital gain in caso di vendita prima della scadenza – per il resto occorre fare chiarezza su vari aspetti, più che altro per far bene i propri conti e scegliere i migliori fondi d’investimento, una scelta che non può dipendere esclusivamente dai rendimenti.
Come prima cosa bisogna sapere che ci sono delle particolari categoria di fondi d’investimento, le Sicav – Società di Investimento a Capitale Variabile, in pratica fondi d’investimento esteri in genere domiciliati in paesi con fiscalità favorevole quale ad esempio il Lussemburgo (i fondi lussemburghesi sono tra i più noti ma anche quelli da valutare con più attenzione), che vanno distinti dai fondi italiani con sede nel nostro paese ma anche dai cosiddetti fondi estero-vestiti, cioè società finanziarie italiane trasferitesi all’estero. Questa distinzione riguarda alcune voci di costo specifiche che spiegheremo più avanti.
Quando il piccolo risparmiatore si decide ad investire in un fondo deve inizialmente verificare se ci sono costi d’ingresso al momento dell’acquisto oppure costi di uscita in caso di vendita: sono voci facilmente individuabili in quanto tra le primissime esplicitate nei documenti informativi, comunque trattasi di costi una tantum come è facile intuire; in certi casi al cliente può essere data l’alternativa di non pagare le commissioni d’ingresso, che sono tendenzialmente intorno all’1-2% di quanto si investe, sostituendole con le commissioni di distribuzione e pagare dunque uno 0.50-0.70% circa ogni anno. Sono invece più complessi e con diverse voci di spesa i costi ricorrenti (tra cui comunque rientrano le commissioni di distribuzione) che vanno attentamente vagliati.
Una spesa che deve essere chiaramente individuata nei documenti che vengono forniti sono le commissioni di gestione fisse in quanto dipendono dalla tipologia del fondo d’investimento: se per i fondi multi asset, flessibili, bilanciati e azionari variano mediamente tra il 2.20% e l’1.50% annuo del capitale investito, per i fondi obbligazionari che investono nei paesi meno rischiosi siamo intorno all’1-1.40%, mentre si scende sotto l’1% per i fondi monetari.
Si tratta comunque di voci di spesa che in genere vengono chiaramente spiegate nei contratti e nei fogli informativi, c’è invece da fare più attenzione ai costi amministrativi e alle commissioni di performance (o d’incentivo): partiamo a spiegare queste ultime, che sono un costo variabile come appare ovvio, in quanto sembra che siano una spesa tipicamente italiana e molto meno diffusa all’estero.
Ipotizzando un fondo d’investimento azionario che nel corso di un anno solare (1 gennaio – 31 dicembre) registra una performance migliore di 5 punti percentuali rispetto al FTSE Mib, ad esempio facendo segnare un +15% rispetto al +10% dell’indice borsistico, una commissione di performance che appare adeguata è del 10% di tale miglioramento, quindi lo 0.5%. Insomma, deve essere individuato un benchmark da battere ed anche il periodo di riferimento, altrimenti le cose possono essere poco chiare: ad esempio non ci dovrebbero essere commissioni di performance senza un bechmark indicato come riferimento, altrimenti può essere che nel corso di un anno il fondo registri una performance negativa ma che al cliente vengano addebitate commissioni per eventuali singoli periodi in cui è stato in positivo. In simili casi c’è il rischio di pagare fino al 5% annuo per un fondo che ha perso e purtroppo le cronache finanziarie di questi ultimi anni riportano diversi esempi di fondi lussemburghesi ed estero-vestiti con commissioni di performance di tal genere.
Un buon fondo d’investimento dovrebbe avere costi amministrativi intorno allo 0.10% in quanto le economie di scala riducono l’incidenza di queste spese, siate dunque sospettosi di fondi che li hanno già superiori allo 0.50%, mentre scartate quelli intorno all’1% come alcuni fondi estero-vestiti, lussemburghesi, Sicav. Le su citate commissioni di gestione ed i costi amministrativi sono entrambi visibili nel prospetto informativo alla voce “spese correnti” o simili.
Questi accenni ai costi alle volte non giustificati per i fondi lussemburghesi, estero-vestiti ed i comparti Sicav non sono per convincere il lettore a preferire altri lidi per i propri risparmi, ma sono solo a titolo informativo: i fondi comuni d’investimento, e quindi anche questi, sono tra gli strumenti principali del piccolo-medio risparmiatore che vuole mettere a rendimento la propria liquidità ed in alcuni paesi sono quasi il solo strumento, ciò che deve essere attentamente valutato sono le spese da sostenere per non vedersi ridurre all’osso i possibili guadagni. Sarà il consulente finanziario a cui vi rivolgerete a darvi i consigli giusti per investire nei migliori fondi comuni, se invece volete sceglierli in autonomia fate con estrema attenzione i vostri conti.
Ovviamente vanno considerati i costi del deposito titoli presso la banca o le Poste, ma non essendo una spesa direttamente imputabile al fondo d’investimento scelto non può rientrare tra i fattori di valutazione. Va comunque calcolata aggiungendo la quota-parte per ogni singolo fondo alle spese totali, ma se il deposito è presso lo stesso promotore finanziario è già compresa in quello che a norma di legge dovreste trovare nei documenti informativi come Total Expense Ratio: il TER è una misura sintetica che esprime i costi complessivi del fondo, la somma delle commissioni di gestione, di incentivo, ecc… che si esprime in percentuale ed indica il valore del rapporto tra spese totali e valore degli asset.